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Chiusura dei consultori: cosa perderemo

Questo intervento è il primo di una serie. Si tratta del risultato di un lavoro di ricerca e approfondimento svolto da Non una di meno Trieste, in occasione della prima assemblea pubblica contro la chiusura dei consultori, tenuta in campo San Giacomo il 31 maggio 2023. Nelle prossime settimane pubblicheremo anche altri interventi: invitiamo alla diffusione di questi testi e delle informazioni che contengono. Lo smantellamento della sanità pubblica sta avvenendo nel silenzio, dietro la cortina retorica della riorganizzazione e dell’efficientamento: è fondamentale che le persone che abitano nella nostra città sappiano cosa sta succedendo e possano avere gli strumenti per individuare le resposabilità.

Mettiamo subito una cosa in chiaro: dal nostro punto di vista transfemminista, i Consultori già così come sono, cioè quattro, non sono sufficienti a rispondere ai bisogni reali della popolazione e spesso non riescono neppure ad intercettarli.

I Consultori sono nati dal basso, da gruppi di donne femministe che negli anni ’70 hanno creato i servizi di cui avevano bisogno per sopravvivere, facendoli da sé. Sono nati per essere un supporto fondamentale all’autodeterminazione delle donne, per la salute sessuale fisica e per il benessere psicologico e sociale delle persone, ma nel processo di istituzionalizzazione hanno progressivamente perso questo loro ruolo politico: non sono mai stati finanziati adeguatamente, e la volontà politica dello Stato e dei suoi governi, statali e regionali, li ha sempre più limitati a poter rispondere principalmente ai bisogni delle donne etero partorienti e della famiglia normativa, lasciando ai margini “tutto il resto” ovvero i bisogni di salute sessuale, affettiva e relazionale e di prevenzione di tutte quelle persone che non si riconoscono e sempre più si ribellano nelle norme dominanti di genere, famiglia e sessualità. La volontà politica statale, soprattutto in questo periodo, cerca di renderli sempre di più luogo di riproduzione delle norme sociali conservatrici, cercando di farci entrare addirittura i gruppi che negano la libertà di scelta delle donne sull’aborto.

Già così, il personale è insufficiente e quindi le liste d’attesa sono lunghe; come accade in molti altri servizi, solo dichiarando necessità che vengono valutate urgenti si viene accolti immediatamente.

Tuttavia, i consultori rimangono uno dei pochi servizi pubblici che hanno ancora qualcosa da offrire per sostenere la nostra autodeterminazione sessuale e sociale, perchè la loro mission sulla carta dovrebbe essere quella garantire l’accesso gratuito a tutte le persone senza discriminazioni di nessuno tipo AD ACCESSO DIRETTO, ovvero a cui ci si può rivolgere senza passare per la trafila e a volte l’incomprensione del/la medico/a di base (quando c’è) per ottenere servizi cruciali per la vita e il benessere delle persone, come quelli relativi a salute sessuale, affettività e relazioni.

Quindi, piuttosto che perderli, preferiremmo che venissero migliorati, finanziati adeguatamente e aperti alla partecipazione effettiva della popolazione, per accogliere i bisogni reali e sempre in evoluzione delle persone, senza giudizio.

Come fa per i Distretti, Asugi anche in questo caso dice che non si tratta di tagli ma di accorpamenti, che il personale non verrà ridotto ma solo trasferito, ma non è difficile capire che anche solo a causa della distanza dal quartiere di residenza, il servizio si allontanerà dal punto di vista fisico e umano da una fetta importante della popolazione, perdendo di vista i bisogni di due dei quartieri più popolosi e multiculturali della città.

La capillarità e la vicinanza del servizio alle persone sarà drasticamente ridotta, scoraggiando tante persone a rivolgersi alle strutture in caso di bisogno.

Pensiamo alle persone meno abbienti che probabilmente rinunceranno a recarsi nella nuova sede scoraggiate dalla lontananza; alle persone giovani, già prive di un’educazione sessuale adeguata nelle scuole (che proprio i consultori dovrebbero fare, by the way), che perderanno anche uno dei pochi presidi sul territorio che riservavano loro uno spazio informale proprio per dare loro informazioni corrette e supporto nei momenti difficili della crescita, senza la patologizzazione/medicalizzazione necessaria per accedere ad altri servizi.

Pensiamo poi ai percorsi più delicati già avviati, come quelli di sostegno psicologico: nel periodo di transizione, alcuni percorsi di sostegno verranno sospesi per poi essere riaperti in un’altra sede, causando disagi a persone che già non se la passano bene. E una volta riaperti, le ragioni della riorganizzazione permetteranno di riassegnarli alle stesse professioniste, con cui le persone magari avevano instaurato un legame di fiducia, o si ritroveranno a dover ricominciare daccapo con un’altra?

La popolazione si vedrà di fatto ridurre servizi gratuiti e importantissimi durante tutto il ciclo di vita e, per tante persone, difficilmente ottenibili per altre vie.

Sempre meno persone potranno accedere a quesi servizi in maniera davvero universale, uguale ed equa.

Lo smantellamento della sanità pubblica 

La chiusura dei consultori va inserita nel contesto generale di smantellamento della sanità pubblica in Italia.

È un processo iniziato negli anni ’90, e di cui sono responsabili tutti i governi e le amministrazioni regionali che si sono succedute, di qualsiasi colore politico. È un approccio neoliberista, in cui principi di efficienza economica prendono il sopravvento sulla tutela della salute pubblica come diritto fondamentale della persona e come bene comune. Al centro non c’è la salute della persona e della collettività, ma l’efficienza puramente economica del sistema e gli stipendi dei manager che la gestiscono.

Teoricamente, il sistema sanitario nazionale si basa su principi di universalità, uguaglianza ed equità nel garantire le cure a tutte le persone residenti sul territorio, ma penso che ormai ciascuna di noi abbia provato sulla propria pelle quanto la situazione sia diversa. Se per avvalorare questa affermazione non dovessero bastare le nostre esperienze con liste d’attesa, farmaci non mutuabili e medici di base insufficienti, i dati ci dicono che in Italia la spesa sanitaria pubblica è inferiore a quella della maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale. 

Durante la pandemia, la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL è salita toccando il 7,4%,ma tornerà a scendere nei prossimi anni e sarà il 6,1% nel 2025. Si attesterà quindi ad un livello giudicato insufficiente ad affrontare l’emergenza attuale di questo sistema, che è quella della carenza di personale, né tantomeno sufficiente a compensare l’inflazione e il rincaro delle spese per l’energia che invece noi continueremo a pagare1. 

Nel 2021 la spesa diretta in sanità, ovvero i soldi messi di tasca propria dalle persone per pagarsi esami diagnostici e cure, è stata pari al 22% della spesa sanitaria in Italia, circa 36 miliardi di euro.

Dal 2015, tutti i governi hanno tolto complessivamente circa 37,5 miliardi alla sanità per regalarne 38 al welfare aziendale, a fondi, mutue e imprese di assicurazione che si occupano della cosiddetta “sanità integrativa”, ovvero fondamentalmente assicurazioni, a cui le cittadine e i cittadini, o meglio le clienti e i clienti, pagano quote annuali per assicurarsi la possibilità di ricevere cure adeguate nel momento del bisogno.

Allo stesso tempo, succede che il governo Meloni, così come il precedente, aumenta le spese militari, puntando a raggiungere il 2% del PIL, mentre taglia scuola e istruzione e, come già detto, non prevede aumenti sostanziali sulla sanità.

È evidente che tutto questo allarga ulteriormente il divario tra chi si può permettere di rivolgersi a una clinica privata o di pagarsi un’assicurazione e chi no, e contribuirà ad impoverire sempre di più le persone meno abbienti, più precarie a livello lavorativo e con meno risorse sociali.

Se non faremo nulla per fermare questa tendenza, scivoleremo sempre più verso un sistema sanitario classista, discriminatorio, ingiusto e crudele, dove sempre meno persone potranno prendersi cura della propria salute.