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RIFLESSIONI SUL PRESIDIO DEL PRIMO FEBBRAIO E LA VIOLENZA ISTITUZIONALE

Ieri, 1 febbraio 2024, siamo state sotto al Consiglio regionale e abbiamo cercato di entrare nell’aula per chiedere che si parlasse di quello che sta succedendo ai consultori familiari di Trieste. Questa è la cronaca di quello che è successo; per chi non avesse tempo di leggerla tutta si può riassumere così: di consultori non si è parlato e noi siamo state tenute fuori dall’aula, con l’inganno e con la forza.

Che cosa è stato fatto per i consultori?, ha chiesto il Presidente del consiglio regionale. Che cosa è stato fatto, in questi mesi, per i consultori? Voi li avete chiusi. Noi siamo scesə in piazza, abbiamo lottato, scritto, manifestato, gioito, tenuto aperto il consultorio di via San Marco e ci siamo presentate dentro l’ufficio del Direttore generale per chiedergli conto delle sue azioni.

Ieri, la mozione sulla chiusura era stata calendarizzata come sesto punto all’ordine del giorno, con chiusura dei lavori alle 18:30. Era perciò palese che l’argomento, anche stavolta, sarebbe slittato. Per noi questo era intollerabile, visto che i consultori sono già stati chiusi a San Giacomo e a San Giovanni e siamo già oltre il tempo massimo. Abbiamo quindi preteso che ne parlassero ieri. Abbiamo chiesto di parlare subito dei consultori, ma non abbiamo avuto risposta. Abbiamo chiesto di entrare, ma ci è stato detto che non c’era posto, ma noi sapevamo che i posti per il pubblico in Consiglio regionale sono cinquanta. Dopo una tarantella di lentissimi conteggi – con cui la forza pubblica tentava di temporeggiare – ci è stato detto che i posti erano in realtà venti, poi sei, poi nessuno. Pare che la colpa fosse dei nostri modi poco concilianti: ma, ci chiediamo, è conciliante chiudere i consultori? È conciliante ignorare il volere di una città? È conciliante calpestare la nostra salute?

Nel frattempo, le opposizioni hanno presentato una mozione per anticipare la discussione sui consultori che è stata bocciata; poi è stata proposta una mozione per continuare a discutere fino a esaurire l’ordine del giorno, ma anche questa non è passata. La discussione del tema è stata rimandata, forse, al 20 marzo.

Nel frattempo, nessuna di noi è stata autorizzata a salire, con la scusa che avremmo potuto farlo quando avessero cominciato a parlare di consultori, cosa che l’Aula stava scegliendo di non fare.

È stata una presa in giro istituzionale. Ma è stato soprattutto un atto di forza delle istituzioni, che si sono trincerate nella loro roccaforte, rifiutandosi di interloquire con le persone in piazza. Per la terza volta da quando è iniziata questa mobilitazione, la polizia vuole tenerci fuori da un luogo pubblico, alzando il livello della tensione. Per la terza volta non sono riusciti a tenerci fuori e anche se non siamo riuscite a entrare in consiglio, il nostro grido si è sentito.

Questa è Trieste oggi: le piazze difendono la sanità pubblica, il diritto alla salute e all’autodeterminazione e i politici si arroccano nei loro palazzi per distruggere quella stessa sanità pubblica, protetti dagli scudi e dai manganelli.

Non finisce qui. Ci vediamo nelle strade, ci vediamo lotto marzo e in assemblea per preparare un otto marzo con sempre più rabbia.