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25N: Giornata internazionale contro la violenza di genere, con più rabbia che mai

Anche questo 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere, con più rabbia che mai e per l’ottavo anno consecutivo, Non Una di Meno chiama la marea in piazza.

La rabbia sale contro la violenza che evidentemente non è un fenomeno emergenziale, ma strutturale e in continuo aumento. Dall’inizio dell’anno sono stati registrati più di 100 casi di femminicidi e transcidi, a cui si aggiungono, di quelli noti, almeno 12 tentati femminicidi e numerose aggressioni razziste e contro le persone lgbt. Oltre alla violenza domestica, negli ultimi mesi si sono susseguiti diversi casi di violenze sessuali che hanno richiamato l’attenzione dei media. Sono state narrate con toni e linguaggi che spettacolarizzano e colpevolizzano costantemente chi la violenza la subisce, alimentando stigma e delegittimazione.

A Trieste, la complicità delle istituzioni rispetto alla violenza di genere è palese. In questi giorni si susseguono le iniziative di sensibilizzazione sulla violenza di genere promosse dalla polizia e gli articoli di giornale che elogiano l’operato della questura, ma noi sappiamo che un atteggiamento securitario non risolve nulla. A Trieste, quella stessa polizia e quella stessa questura ci hanno più volte impedito di manifestare in centro città contro la chiusura dei consultori o per l’autodeterminazione e la libertà di scelta: hanno ostacolato la nostra lotta quotidiana alla violenza di genere. La militarizzazione della città e l’impianto punitivo del sistema sono parte del problema. Nel frattempo, i servizi pubblici nei quali si dovrebbe fare prevenzione vengono chiusi. Ignorando completamente il volere di una mobilitazione condivisa e partecipata, costruita attraverso pratiche di discussione pubblica, Asugi sta proseguendo lo smantellamento dei consultori.

I consultori sono spazi di autodeterminazione delle donne e dovrebbero avere un ruolo nel contrasto alla violenza, garantendo gli spazi giovani, l’educazione sessuale nelle scuole, servizi pubblici e gratuiti ad accesso diretto per garantire la libertà sulle proprie scelte riproduttive. Il programma è quello di chiudere due delle quattro sedi consultoriali nel territorio di Trieste e Asugi lo sta facendo pian piano, svuotandoli dall’interno dei loro servizi, chiudendone parzialmente gli spazi e non sostituendo il personale che va in pensione. Il loro piano è che ciò accada di soppiatto e nel silenzio generale. Noi però non possiamo lasciare che questo succeda: abbiamo gli occhi ben aperti e siamo pronte a gridare, con tutta la nostra voce che i consultori devono rimanere aperti. Anche per questo, il 25 novembre, partecipiamo alla marea transfemminista rimanendo in città, a riempire gli spazi, le strade e le piazze con la nostra lotta.

Chi distrugge la rete socio-sanitaria territoriale è corresponsabile del mantenimento della società patriarcale, della violenza domestica e della violenza contro le donne, perché priva le comunità di luoghi vicini a casa, deputati alla formazione, all’accoglienza e al sostegno delle donne e delle altre soggettività, nelle varie fasi della vita.

Per questo, il 25 novembre non può limitarsi a essere una ricorrenza istituzionale in cui chiunque, compresi i colpevoli dei tagli al welfare, si erge a paladino della difesa dei diritti delle donne; il 25 novembre è un giorno nostro, di tutte coloro che hanno delle sorelle morte ammazzate e che lottano contro la violenza di genere nella quotidianità della propria esistenza.

Violenza patriarcale è anche la guerra di Stato, quindi questo 25 novembre per noi è anche una giornata di lotta in solidarietà al popolo palestinese. Le violenze e i bombardamenti di Israele sul popolo palestinese di Gaza in un mese hanno già portato a più di diecimila persone uccise, più di 300000 feriti. Nascere a Gaza significa crescere in un carcere a cielo aperto. Le fondamenta su cui si basa lo Stato israeliano sono quelle del nazionalismo religioso e del colonialismo d’insediamento, che utilizza lo strumento dell’apartheid per mantenere dentro e fuori dai confini un’intera parte della popolazione sotto controllo, privandola di diritti umani, civili e politici. Questa occupazione predatoria basata sulla logica della pulizia etnica continua a causare morti con il supporto dell’imperialismo occidentale.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato per “una tregua immediata e durevole”, sostenuta da 120 paesi (14 contrari, 45 astenuti). L’Italia si è astenuta, confermando il via libera del governo italiano al genocidio in atto, legittimandolo. NON IN NOSTRO NOME! Siamo dalla parte del popolo palestinese. Stiamo con i soggetti che quotidianamente combattono e si organizzano contro la violenza patriarcale e nazionalista, che al momento lottano contro una triplice oppressione di classe, di genere e coloniale. Le compagne del movimento femminista palestinese Tal’at, gridano che non può esserci una Palestina libera se le donne palestinesi non saranno finalmente libere (Donne libere in una Palestina libera_ وطن حر نساء حرة).

Il 25 novembre saremo in piazza Hortis per ribadire che siamo ingovernabili e vogliamo:

  • Una trasformazione radicale della società, consapevoli che non saranno pene più severe, militarizzazione e sicurezza ad azzerare la violenza.
  • Scegliere noi chi considerare famiglia e che tipo di relazioni vogliamo avere, liberə da destini biologici e sociali
  • Un pieno riconoscimento e attivazione dei percorsi di educazione al consenso, all’affettività, alla sessualità e alle differenze nelle scuole a partire dalla prima infanzia
  • Il rifinanziamento dei Centri Anti-Violenza (CAV). La prevenzione e il sostegno all’autodeterminazione sono elementi centrali e non sacrificabili nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
  • Il sostegno all’autonomia per donne e persone LGBTQ+ attraverso misure reali di sostegno economico, unite a servizi e welfare per tuttə
  • Una sanità pubblica universale e accessibile, la piena tutela del diritto di aborto, accesso alla salute e all’autoaffermazione di tutte le soggettività fuori da percorsi di colpevolizzazione, patologizzazione e psichiatrizzazione dei corpi
  • Il cambiamento delle narrazioni e del linguaggio con cui la violenza viene raccontata nei media e nel dibattito pubblico
  • Un permesso di soggiorno slegato da qualsiasi ricatto lavorativo e familiare e leggi che consentano a chi nasce in Italia di avere subito il riconoscimento della cittadinanza
  • Ribadire il nostro posizionamento anticarcerario, riconoscendo nel carcere una delle peggiori violenze istituzionali