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28 settembre: l’aborto non è un trauma

Continua la serie di interventi che abbiamo fatto al presidio per l’aborto libero sicuro e gratuito, il 28 settembre in piazza della Borsa. Il secondo intervento riguarda la narrazione traumatica dell’aborto.

L’aborto è un trauma. Sui giornali, nei libri, nei film di Hollywood, nell’atteggiamento delle persone che ci circondano, sul sito del Ministero della salute. Ovunque, nelle rappresentazioni pubbliche dell’aborto, questo si dà come esperienza traumatica. Sempre, necessariamente, inevitabilmente un trauma, anche quando è una scelta.

Dovrà essere necessariamente un segno indelebile nelle nostre vite. L’idea dell’aborto come trauma è entrata a fondo nelle nostre teste, anche nelle nostre teste laiche e pro-choice. È entrato nelle nostre teste per instillare un senso di colpa che nasce in seno alla morale cattolica e che nutre e alimenta il sistema patriarcale di controllo sociale dei nostri corpi. Il sistema si autosostiene al punto, che se dopo un aborto scelto stiamo bene, ci sentiamo in colpa anche di questo. La colpa di essere libere.

Leggeremo alcune testimonianze che raccontano come l’aborto possa essere vissuto anche in un altro modo. Le testimonianze sono state raccolte dal prezioso lavoro svolto quotidianamente IVG-Ho abortito e sto benissimo che, assieme a Obiezione respinta, lavora per cambiare questo paradigma.

Oggi sono stata nel consultorio del mio paese ed ho ottenuto il certificato con carattere d’urgenza ma il colloquio con la dottoressa è stata un disastro, mi ha fatta sentire uno schifo, dicendomi che non mi libererò mai dal senso di colpa e che potrei essere punita non potendo più diventare madre… in questo momento è stato come ricevere delle pugnalate, mi chiedo perché certa gente lavori nei consultori pubblici…

Questa narrazione ci colpevolizza ed è funzionale al mantenimento delle cose così come sono. Criminalizzare moralmente l’aborto vuol dire legittimare la presenza di una legge incompleta, piena di angoli bui. Le leggi pretendono di rappresentare i nostri valori. Se noi, alla luce di una certa narrazione, pensiamo l’aborto come un diritto fondamentale ma anche come una pratica scabrosa, la legge che tutela quel diritto può rimanere lacunosa e contraddittoria.

Vogliamo liberarci dalla repulsione morale verso l’aborto, che non è altro, in effetti, che pratica medico sanitaria, semplice e sicura.

L’aborto può certamente essere un’esperienza dolorosa e traumatica ma può anche essere un’esperienza liberatoria e felice. Accogliamo l’esperienza di tutte e tutti.

Rivendichiamo la possibilità di un aborto gioioso, sereno, felice. Di un aborto che non assuma significati ulteriori, che si riconosca come una procedura medico-sanitaria sicura, e che venga liberato dallo stigma del dolore.

Oggi ho terminato tutto quanto e sono ufficialmente rinata! È andato tutto bene! Più di quanto mi aspettassi, ora posso farmi finalmente una sana e serena dormita!ù

Non è una passeggiata solo perché non è facile accedervi, per le frasi che ti senti dire in ospedale. Dolore e dramma li avrei vissuti portando avanti qualcosa che non volevo. Appena sveglia ho provato solo una cosa: felicità.
Ho abortito ed è stato un atto d’amore verso me stessa.

Dal 15 settembre, per accedere all’aborto, le donne in Ungheria sono costrette ad ascoltare il battito durante le ecografie. La notizia ci sconvolge, e ci nascondiamo dietro alla convinzione che queste cose in Italia non accadano. Sembra una procedura brutale. Ma questa pratica criminale, l’imposizione senza consenso dell’ascolto del battito, anche se non sancita giuridicamente, avviene continuamente anche in Italia. Molt* di noi sono srare costrett* dai medici ad ascoltare il battito. Perché i nostri aborti devono essere costellati traumi imposti da fuori?

Ho abortito nel 2006 a Padova. Durante l’ecografia prima dell’IVG, senza neanche avvisare, hanno alzato il volume e il battito si è amplificato in tutta la stanza.
È successo anche a me a Roma. Mi hanno detto che erano tenuti per legge a farmi sentire il battito, e che avrei dovuto attendere l’interruzione di gravidanza per ben due settimane da quella visita, in caso avessi cambiato finalmente idea.
Non mi chiesero niente, mi fecero sentire il battito senza neanche avvisarmi per poi chiedermi come stessi. Non mi pento di niente, non sono stata male in quel momento, ma ho provato e provo molta rabbia perché non è giusto trattare in questo modo una donna, facendola sentire in colpa, cercando di manipolarla e di farle cambiare idea.

Riconosciamo questa pratica per ciò che è: il tentativo incessante e violento di farci sentire in colpa. La criminalizzazione del concetto di aborto in termini morali è strumentale e violenta: costituisce una misura punitiva per le donne che si autodeterminano. Non vogliamo sentire alcun battito, vogliamo sentire noi stesse, sentirci libere. Libere non solo di scegliere se proseguire o interrompere una gravidanza: vogliamo essere libere da un viscido paternalismo che inquina le nostre scelte.

Vogliamo un aborto sicuro, gratuito, e non solo. Vogliamo abortire senza vergogna, senza sensi di colpa, senza pentimento e senza giudizi morali.