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SE TOCCANO UNA TOCCANO TUTTE campagna social contro le molestie

Durante l’adunata degli Alpini a Rimini le compagne del nodo di Non Una di Meno Rimini sono riuscite ad essere punto di riferimento e megafono per tutte quelle persone che in quell’evento hanno subito molestie.

Tuttavia, il patriarcato è un sistema di oppressione che trascende dall’Adunata degli Alpini. Le molestie e le violenze hanno la stessa matrice, e le subiamo ogni giorno per strada, sul posto di lavoro, in famiglia.

Vogliamo anche noi dare voce a tutte le nostre sorelle e per questo stiamo raccogliendo testimonianze.

Puoi lasciare la tua testimonianza in modo completamente anonimo qui, o scriverci alla nostra email nudmtrieste [at] gmail.com, o via messaggio sui nostri social fb o ig.

Le testimonianze verranno pubblicate periodicamente, in modo completamente anonimo.

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Sessione invernale, dopo aver studiato la mattina, decido di andare a fare una corsetta prima di pranzo per disconnettere un po’ il cervello. Tuta, felpone e auricolari… sto spegnendo un po’ i neuroni quando praticamente a ora di pranzo, in piena via Revoltella, un tizio ignoto in macchina dopo avermi sorpassato, rallenta, accosta, mi fischia e procede alla mia velocità. È andato via solo perché fortunatamente dietro di lui erano arrivate altre macchine.
Ho corso ancora un po’ ma ovviamente nel mio cervello martellavano rabbia e disgusto perché ero appena stata resa un oggetto. Vorrei andare a correre senza essere ritenuta un cazzo di oggetto in vetrina da valutare se comprare o meno.

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Non ho mai scritto nero su bianco quello che mi è successo, ho sempre cercato di comprimere i ricordi in un cassetto ben sigillato della mia mente perché quando emergono sono travolta da un senso immenso di vergogna. Questa è la mano lunga del patriarcato: pensare di essere responsabile per le molestie subite. Avevo 16 anni, ero ubriaca in giro a festeggiare il carnevale con una mia amica. Durante la serata c’erano stati molti baci con ragazzi diversi, era quasi un gioco. Ad un certo punto tutto si fa confuso a causa del crescente alcol in corpo: sono dietro una casa e sono in ginocchio di fronte ad un ragazzo che mi tiene la testa sul suo cazzo. Non so chi sia, è sicuramente un coetaneo, non so come sono arrivata lì in quella situazione, ricordo solo una sensazione di sporco e di sentirmi usata. Il giorno dopo provo solo un forte senso di imbarazzo, mi sento in colpa per aver bevuto così tanto ma non mi rendo conto di aver subito un abuso. Ad un certo punto ricevo un messaggio da parte di un tipo che dice di avermi vista durante l’atto e mi propone di avere rapporti sessuali. Da quel giorno iniziano le pare: chi era il ragazzo del giorno prima? Quante persone hanno assistito? Ho sempre sperato che questa storia rimanesse insabbiata ma a distanza di anni (una volta a 18 e una a 21) uscendo la sera due persone diverse tirano fuori l’argomento facendo commenti a riguardo. è stato come se qualcuno mi svuotasse di tutta la vita che avevo. Ancora oggi ho paura che tutte le persone intorno a me sappiano e che i ragazzi che si avvicinano lo facciano solo per soddisfare i loro appetiti sessuali. La cosa che fa più male è il senso di vergogna e disagio che provo io per me stessa e l’incapacità di tramutarlo in rabbia verso quello che è successo.

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Voglio raccontare un episodio successo non a me ma a cui ho assistito. Avevo 12 anni, ero alle medie. Erano gli ultimi giorni di scuola e in classe eravamo pochi. La prof di educazione fisica ci disse di andare da soli in cortile dove ci avrebbe raggiunti. Per ingannare il tempo una mia compagna disse che ci avrebbe fatto vedere quanto riusciva a stare in verticale. Fece la verticale contro il muro, poi divaricò le gambe per far vedere che riusciva a mantenere la posizione anche così. Un mio compagno le si avvicinò e posò la mano sul cavallo dei suoi pantaloni in corrispondenza delle parti intime, dicendo “ma che bello”. Lei si rimise in piedi e si mise a rincorrerlo. Quando lo raggiunse gli diede uno schiaffetto ridendo. Tutti gli altri corsero dietro a loro due ridendo anche loro. Ricordo che solo io rimasi lì impietrita, scioccata da quanto era successo. Pensavo che al posto della mia compagna sarei rimasta traumatizzata ma che forse per lei era una cosa da nulla perché era molto più disinibita di me. Mi vergogno molto di aver pensato questa cosa e anche se non leggerà quello che ho scritto voglio chiederle scusa. Oggi riconosco che la sua reazione è probabilmente stata un modo per esorcizzare il disagio provato e in ogni caso quello che è inconcepibile è che già a quell’età si veda il corpo di una propria compagna come campo libero su cui esercitare il proprio potere.

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Cento, mille, duemila volte qualcuno per la strada ha commentato il mio corpo. Qualche settimana fa, per esempio, un tipo mi ha detto che mi si vedevano i capezzoli dalla maglietta. Una volta un signore mi ha detto che avevo proprio un bel culo da n**a anche se ero mingherlina. Una volta un ragazzo molto più piccolo di me mi ha detto che gli facevo proprio tanto sangue con quei vestiti. Posso andare avanti, se serve alcune le ricordo bene.

A sedici anni, mentre tornavo da scuola in autobus (in tram in realtà), mi sono accorta che un signore che mi guardava perversamente si stava toccando con la mano nei pantaloni. Non ho fatto nulla, lui ha preso coraggio e si è tirato fuori il cazzo dai pantaloni. Poi è venuto sul pavimento dell’autobus, ed è sceso. Io sono arrivata fino al capolinea e sono tornata indietro, senza mai alzarmi dal sedile.

Una volta, un signore di cinquant’anni, un imprenditore molto affermato in regione, durante una riunione di lavoro in cui si parlava di marketing, mi ha detto, dandomi un buffetto sul viso, che dovevo sfruttare di più le mie doti per massimizzare l’efficacia della nostra comunicazione.

Alcune volte, quando ero più giovane, il mio ragazzo tornava a casa nel letto dove dormivo, e mi penetrava. Io mi svegliavo di soprassalto, disgustata dall’odore di alcol che emanava e dal suo corpo pesante che mi schiacciava.

Una volta, un mio amico, mi ha stuprato. Mi fidavo di lui, abbiamo fatto assieme molte cose, anche sesso qualche volte. Consenziente. Ma quella volta no. Gliel’ho proprio detto “No”. Lui mi ha pregato, e io ho detto di nuovo “no”. Poi però mi ha sollevato in braccio e io non ho più detto nulla.

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Giugno 2022. Cartoleria di via Battisti. Ci sono andata per comprare dei regali. Ero indecisa se prenderli tutti, qualcosa per me, qualcosa per le amiche, carta da regalo e altro. L’uomo che vende mi convince e prendo tutto. Mi scocciava che mi desse del tu nonostante usassi la 3a persona per rivolgermi a lui. Avevo la testa abbassata e non l’ho visto quando inaspettatamente sento la sua mano accarezzare i miei capelli. Stupore. Schifo. Voglio urlargli contro ma non lo faccio. Voglio solo uscire dal negozio. Per tutto il giorno avevo una sensazione di sporco addosso. E di rabbia contro me stessa per non aver reagito.

Un amico voleva visitare Trieste. Mi chiede se lo posso accompagnare a conoscere la città. Mi chiede se è possibile che lo ospiti da me. Gli dico di sì, c’è un letto libero. A fine serata sale da me. Chiacchieriamo avanti. Gli faccio vedere il suo letto ed è in quel momento che mi spinge sul materasso e si butta sopra di me. L’ho spinto via. Gli dico ma che fai? Guarda che ti ospito per la notte niente altro. Per la vergogna o lo stupore non ha più reagito. Se n’è andato la mattina.

Quella volta che aspettavo il bus notturno. E arriva questo uomo forse ubriaco, forse con un problema mentale. Tira fuori il suo pene e me lo mostra. Così come nulla fosse. Mi sono allontanata.

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Quando giro per città in bici, ogni giorno (letteralmente: ogni giorno), un maschio mi fischia, mi grida qualcosa, mi osserva con insistenza, soprattutto d’estate, coi pantaloncini corti. Mia mamma dice: ai miei tempi i fischi erano dei complimenti perché voleva dire che piacevi a qualcuno.

Una volta, quando studiavo a ***, tornavo a casa un po’ ubriaca un mercoledì sera, un tizio cominciò a seguirmi col motorino, tallonandomi. Pioveva. Mi diceva cose che ora non ricordo. Avevo paura e chiamai il mio compagno di allora: arrivò correndo con le espadrillas in mano, che si erano tutte maciullate per la pioggia. Il tizio se ne andò subito. Rimase solo quella sensazione di fallimento di essere riuscita a salvarmi soltanto con l’aiuto di un maschio.

Quando avevo diciotto anni, lavoravo come cameriera durante la stagione estiva. In quelle serate di noia e alcol e cicchini, passavo il tempo con un tizio che lavorava in un hotel vicino. Aveva 18 anni più di me, due figlie. Abbiamo scopato qualche volta nella mia stanza nel piano sottoterra dell’hotel, mi ricordo che faceva sempre paragoni con sua moglie. Una volta avevo le mestruazioni, lui voleva scopare ma gli faceva schifo il sangue: se la bistecca è al sangue girala. Me l’ha messo nel culo senza che io mi rendessi conto di cosa stava succedendo. Questa è stata la mia prima esperienza con il sesso anale: uno stupro anale. Per fortuna aveva il cazzo piccolo.

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Questa storia ha alcuni anni. Ero già grande lavoravo in una fabbrica e c’era questo caporeparto amico di mio zio. Un tipo insignificante, un classico porco operaio piccolo borghese, poco più giovane di mio padre. Ebbene, in fabbrica all’epoca le battute sessiste erano abbastanza normali, il linguaggio era scurrile e i riferimenti a cazzi, fighe, a madri pompinare e a cosa ti farei…erano piuttosto frequenti. Solo che lui era quello che firmava il mio foglio ore e io avevo bisogno di lavorare anche solo per non sentirmi in colpa verso i miei genitori. Sorvolavo, lasciavo che mi dicesse delle cose con la sua bocca a pochi centimetri dall’orecchio, come in un sussurro libidinoso e squallido, poi sorridevo e lui firmava il foglio della settimana.
Lui sapeva che io ero fidanzata a volte cercavo di rispondergli a tono: lui mi diceva “e, non sai cosa potrei farti, molto meglio del tuo ragazzo” e via con i particolari da porno rivista, io rispondevo cose del tipo “mi basta lui, con lui sto benissimo” (ed era ovviamente una parziale verità! Quanti uomini sono convinti che la propria compagna, moglie, fidanzata…raggiunga sempre l’orgasmo grazie alle loro prestazioni… e quanti si ingannano…)
La cosa comunque è andata avanti per tutto il tempo in cui ho lavorato in quel posto, nove mesi. Per fortuna non lo vedevo sempre. Poi mi sono licenziata, o meglio non ho acconsentito al rinnovo del contratto e uno degli ultimi giorni dopo che lui si era avvicinato alla mia linea, come al solito per far schioccare la sua lingua bavosa, l’ho minacciato. Gli ho detto che avevo raccontato tutto alle mie colleghe, e che forse doveva essere un po’ più cauto perché magari lo stavo registrando proprio in quel momento, gli ho detto che comunque avrei raccontato in giro e anche a mio zio, quello che faceva sul posto di lavoro. Lui ovviamente se ne è andato dicendomi che io non avevo capito, che avevo frainteso…che sicuramente non mi avrebbero creduta ma sapeva che cominciavano a girare diverse voci sul suo conto. È stata una bella soddisfazione, incompleta perché si sarebbe meritato una registrazione e una diffusione delle sue performance oratorie nella filodiffusione della fabbrica… ma ecco… non male come piccola vendetta.

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Quando lui decide che il tuo corpo non risponde più ai suoi canoni di bellezza e decide di fare lo sciopero del sesso. Perché, se voi donne fate lo sciopero del sesso va bene e se è l’uomo a farlo non va bene? Dove sta la parità? Sì chiama Bodyshaming caro mio. Hai decisamente una visione storta della parità uomo-donna.

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La prima volta che “poi ti abitui e vedrai che ti piacerà”, mentre mi infilava più o meno a forza la mano nei jeans, stretti. Ma se sono stretti e ci è riuscito vuol dire che lo volevi no? L’ha detto pure un giudice. In effetti non ho detto di no. Ho pensato che poi mi sarei abituata. L’ho pensato molte altre volte, che dovevo solo abituarmi. “Vedrai che poi ti piace…”, non saprei dire quante volte, in quanti, me l’abbiano detto.
Ci ho messo anni a capire che deve piacermi “ora”. Ci ho messo anni a capire che il resto è violenza. Anche se non urli, non strepiti e non tiri calci.
Anche per questo, serve l’educazione sessuale nelle scuole. Qualcun* avrebbe dovuto far capire a quei giovani uomini che non rispettare i limiti è violenza. Non era compito mio. A me, l’hanno insegnato le compagne, a loro non so. Spero che qualcun* l’abbia fatto. Spero siano diventati adulti consapevoli.

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Avevo 16 anni e avevo appena partecipato alla manifestazione per la pace a Roma, per tornare a casa i treni erano tutti pieni. Presi un notturno, anche quello pieno, la gente si sistemava dove poteva: per terra, nei corridoi, accanto ai bagni. Mi addormentai seduta a terra in un angolino distrutta dalla giornata trascorsa ma felice di aver condiviso tante belle emozioni con i compagni. Mi sono svegliata con la mano di estraneo sulle mie parti intime. Come unica reazione gliel’ho tolta e ho continuato a dormire. Ma lui continuava a toccare ed io ero sola, incapace di chiedere aiuto per la mia giovane età e per la “vergogna”. Mi alzai e mi seguì. Mi seguì anche scesa dalla stazione all’alba dove aspettavo mi venissero a prendere.
Vorrei tanto poter dire alla ragazza di allora “dovevi farlo venir fuori quel grido che hai fatto tacere!”

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…tutte quelle volte che sono tornata a casa di notte fingendo di parlare al cellulare… e quando una macchina si avvicinava e mi seguiva, leggevo ad alta voce la targa e me la segnavo sul quaderno. Andavano via quasi subito.

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Treno. Verso casa  per il weekend. Un treno regionale affollato e caldo. Riesco a sedermi per fortuna e anche se il tragitto è breve, crollo dal sonno. Ho fatto le ore piccole e l’alcol è ancora in circolo.
Indosso un vestito. Corto, a fiorellini. Uno dei miei preferiti. E gli anfibi.
Nel mio sogno c’è qualcosa di erotico che si infila, nella realtà ad un certo punto una presenza fisica, solida, che mi sveglia di spavento.
Mi ero seduta di fronte a un uomo, lui mi aveva sorriso, io gli avevo sorriso. Gentilezza? Educazione? Certo non il consenso a infilarmi una mano tra le cosce. Con una mano si toccava e con l’altra toccava me. La gente a strati, qualcuno, ho realizzato dopo, guarda e non dice niente.
Ho avuto un buon istinto, gli ho tolto la mano, gli ho detto “ma che cazzo fai!”. Ero arrivata. Sono scesa dal treno spintonando, sensi di colpa. Non avrei dovuto bere la sera prima. Ma poi, davvero? Era colpa del mio vestito? Della mia scarsa lucidità? Sarebbe successo ad un ragazzo?