Sono 59 i femminicidi commessi dall’inizio del 2020. Quattro solo dall’inizio di novembre. Erano stati 73 nel 2019, 74 nel 2018. Le statistiche parlano chiaro: dal 2004 ad oggi, il numero di donne uccise è aumentato paurosamente, il 77% di loro, di noi, viene ucciso da qualcuno di molto vicino: un partner o un ex partner, un familiare.
Durante il primo lockdown delle 117 vittime di violenza domestica, 90 su 100 erano donne.
Negli 87 giorni di confinamento, si è arrivati ad una media di una donna ammazzata ogni due giorni. L’89% delle donne migranti che arrivano in Italia è stata violentata. Le aggressioni a sfondo omo-lesbo-transfobico sono in media 187 ogni due giorni.
Questi non sono solo numeri. Dietro a ognuno di questi numeri, ci sono nomi, storie silenziate, corpi invisibilizzati. Ci sono la storia di Barbara Gargano, di sua figlia Aurora e di suo figlio Alessandro, massacrate da un padre padrone che la stampa non ha esitato a raccontare come un uomo fragile in preda a un raptus; c’è la storia di Maria Paola Gaglione, uccisa dal fratello perché fidanzata con Ciro, ragazzo trans; c’è la storia di Elisa Pomarelli, ammazzata da un conoscente che non poteva “averla” perché lesbica; c’è la storia di Alina Bonar Diachuck, lasciata morire nel 2012 in quel luogo di torture e soprusi che è stato il commissariato di Villa Opicina per le persone straniere che transitavano su questi territori di confine. C’è la storia di una bambina di 9 anni violentata nel 2017 da un barista in quella piccola disneyland per ricchi che è la località di Portopiccolo nella nostra città.
E poi ci sono altre storie più recenti in cui se non ci ammazzano ci rovinano la vita, com’è avvenuto per la maestra d’asilo di Torino: il fidanzato ha diffuso un video intimo che la riguardava tra gli amici del calcetto, e questo le è costato il posto di lavoro, rendendola vittima impotente della violenza machista e di quella istituzionale; c’è la storia di Stefania D., escort, strangolata da un suo cliente a Milano perchè dal vivo non appariva come nelle foto sui social. Ci sono le storie che riempiono le pagine dei giornali come quelle dell’imprenditore Genovese e dei suoi party a base di violenze e stupri. Sono così tante storie che quasi ce ne scordiamo: ma anche il non ricordare, il non farci caso, l’assuefarsi, è violenza di genere.
E’ violenza di genere l’obiezione di coscienza nei consultori e negli ospedali, è violenza di genere quella che operano le associazioni cattoliche che si adoperano per la sepoltura dei feti senza consenso delle donne che hanno abortito, è violenza di genere definanziare i centri antiviolenza, è violenza di genere non fornire adeguate informazioni e sussidi alle più giovani per una vita sessuale pienamente libera e consapevole, è violenza di genere il poliziotto che ti domanda “ma com’eri vestita?” nel caso tu voglia denunciare, è violenza di genere quella che ciascuna di noi conosce perchè ha sentito più di una volta nella vita se non tutti i giorni la paura di non poter camminare liberamente per le strade della propria città senza essere oggetto di commenti, palpatine, occhiate, quando non direttamente oggetto di violenza fisica e sessuale. Ci minacciano, ci violentano, ci ammazzano ancora, e ora ancora di più e nei modi più vari, a casa, sul lavoro, per strada.
Quest’estate abbiamo visto piazze di tutta Europa riempirsi sulla scia del grido di rabbia che giungeva dagli Stati Uniti per l’ennesima uccisione di una persona nera da parte della polizia: vogliamo riversare quella stessa rabbia per strada, per dire che quella dei femminicidi è una strage e che anche le nostre vite contano.
Quest’anno i nostri corpi sono stati maggiormente isolati nello spazio domestico, dove le violenze vengono spesso confinate e nascoste. Vogliamo, a maggior ragione, farci vedere per strada.
Vogliamo tornare in piazza, nel rispetto delle misure sanitarie di sicurezza a tutela di tutte, con i nostri corpi e le nostre voci.
Torniamo in piazza perchè quello è il posto dove vogliamo e dobbiamo assieme, riproponendo il flash mob un violador en tu camino lanciato dal collettivo chileno Las Tesis che ci unirà ancora una volta in un grido altissimo e feroce per tutte quelle done che più non hanno voce!
Ma quali telecamere, ma quale sicurezza poliziesca, le strade sicure le fanno le donne che le attraversano!!!
NON UNA DI MENO!
Appello nazionale di NON UNA DI MENO per il 25 Novembre.
Qui trovate da scaricare il video tutorial e il testo per unirvi al flash mob con noi in piazza.
testo flash mob – es it slo
video tutorial flash mob