Nelle ultime settimane ha fatto notizia il dittatore turco Recep Tayyip Erdoğan, artefice del tentativo di genocidio del popolo curdo e repressore di ogni forma di dissenso, perché non ha concesso una sedia alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La notizia ha tolto la centralità ai temi all’ordine del giorno di quell’incontro con l’Unione europea: il trattenimento brutale delle persone migranti alle quali viene impedito di accedere alla Fortezza Europa. L’indignazione online per il trattamento di von der Leyen da parte di Erdoğan ha oscurato anche un’altra questione: nelle settimane precedenti, Erdoğan aveva ritirato la Turchia dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica; migliaia di donne avevano riempito le strade per contestare l’autoritarismo patriarcale del governo. Come è stato scritto, «ritirarsi dalla Convenzione vuol dire dichiarare tolleranza zero verso chi osa sfidare le autorità politiche e sociali affermando una pretesa collettiva di libertà.»
L’Italia aderisce alla Convenzione, ma non la rispetta. La Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2017, con la sentenza Talpis, ha condannato l’Italia per violazione della Convenzione di Istanbul, per un caso avvenuto proprio in Friuli-Venezia Giulia. Una donna è stata abbandonata alla violenza del marito, che ha tentato di ucciderla e ha ucciso il figlio neomaggiorenne: le autorità sono state condannate per non essersi prese cura della donna che aveva chiesto aiuto. A questo proposito, ci sembra un comodo specchietto per allodole la proposta della consigliera comunale triestina Manuela Declich (Lega) di intitolare un giardino o una piazza della città di Trieste alle vittime di femminicidio, quando proprio lo scorso marzo il Consiglio regionale ha rigettato la proposta di legge che avrebbe previsto un’indennità per gli orfani e le orfane di vittime di femminicidio.
Noi sappiamo bene che la Convezione di Istanbul non può costituire il solo argine o la soluzione alla violenza maschile, ma il ritiro dalla Turchia dalla Convenzione legittima ulteriormente la violenza sulle donne e di genere. Con una mano, Erdoğan firma la fuoriscita della Turchia dalla Convenzione, timoroso delle migliaia di donne che hanno invaso le strade per protestare contro l’autoritarismo patriarcale del suo governo; con l’altra mano, tenta di escludere dal Parlamento turco l’Hdp, il partito del popolo che da sempre sostiene le battaglie femministe e delle donne e uomini curdi. L’uscita della Turchia dalla Convenzione, inoltre, avviene contemporaneamente all’avanzata della proposta di legge dell’organizzazione polacca Ordo iuris presso il Parlamento europeo per la difesa della famiglia eteropatriarcale. Persino Confindustria ha recentemente dichiarato che la famiglia risulta centrale e indispensabile per l’impresa e l’occupazione: ci appare sempre più chiaro il disegno politico che vede nella famiglia “tradizionale” una garanzia sociale da difendere a qualsiasi costo, anche quello delle nostre vite.
In solidarietà con le donne in Turchia e con le donne vittime di violenza domestica in Italia e ovunque, vogliamo organizzare un presidio nella nostra città venerdì 23 aprile alle ore 17 in piazza Unità sotto al consolato onorario turco, un luogo simbolicamente significativo per l’economia della nostra città che intrattiene importanti rapporti commerciali, in particolare grazie all’attività portuale, con la Turchia.
Vogliamo continuare a scendere in piazza ed essere visibili, perché, chiuse in casa, la violenza domestica aumenta e ci uccide. Il nostro femminismo non è solidale con la presidente von der Leyen, ma con le donne turche, curde, yazide, siriache, arabe e di qualunque provenienza che subiscono quotidianamente la violenza della dittatura turca e di una società e culturale patriarcale.
Ore. 17: s-lezione sulla Convenzione di Istanbul.
Ore. 18: interventi.
A seguire: giochi, socialità.