La pandemia globale che stiamo vivendo ha di fatto accelerato processi sociali già in atto: una minoranza di persone diviene sempre più ricca mentre tutt’attorno crescono miseria, povertà e disperazione.
Invece della gestione sensata di un’emergenza sanitaria abbiamo visto mettere in atto piuttosto una militarizzazione delle strade e dei territori.
Mentre le nostre libertà venivano limitate e la repressione nelle strade aumentava, metà delle grandi imprese del FVG restavano aperte senza le necessarie tutele per lavoratori e lavoratrici, il contagio da Covid 19 si diffondeva senza che il sistema sanitario venisse rafforzato, ed i finanziamenti all’industria bellica e alle forze dell’ordine aumentavano. Chi si trovava senza casa poteva ambire al massimo ad una multa, e chi perdeva il lavoro doveva razionare i soldi risparmiati.
Nulla è cambiato con la cosiddetta seconda ondata, la fase attuale, dove anzi si fanno più evidenti gli effetti della crisi sociale in atto. Aumentano il numero di persone che a Trieste rischiano uno sfratto (più di 200 casi all’anno), lo stacco delle utenze o hanno appena i soldi per arrivare a fine mese. Non si tratta solo della mala-gestione sanitaria derivata dall’assenza di organizzazione e finanziamenti, ma anche del peggioramento generalizzato della salute mentale di tutte/i, dell’iper-tecnologizzazione forzata delle nostre attività, della privazione della socialità – soprattutto nelle persone giovani – e della mancanza, per bambini/e e adolescenti, di un modo di apprendere sano ed adeguato.
Se la propaganda di governo continua ad additarci indistintamente come responsabili, sotto forma di “furbetti”, spetta allora a noi, tutte/i assieme, analizzare autonomamente la situazione che ci circonda. Vedremmo quindi, per esempio, che il 7 novembre, Fincantieri, colosso industriale anche di navi da guerra, si vantava sulla stampa che il 3% dei loro lavoratori era risultato positivo al Covid19, non dicendo però che l’incidenza nella popolazione era dell’1.5% e che quindi raddoppiava nei loro cantieri, mai chiusi.
Insomma, la crisi sanitaria ci mostra una gestione dell’emergenza votata a tutelare profitti e aumentare di fatto il controllo sulla popolazione, mentre lascia poche briciole per sostenere il reddito di chi è in difficoltà, per la sanità pubblica al collasso e i suoi lavoratori e lavoratrici, per i trasporti dove siamo costretti/e ad ammassarci per far funzionare questa economia di guerra. Ovvero una macchina che produce profitti per pochi, morte e miseria per gli altri/e.
Di fronte a questo sistema, che crediamo vada affrontato alle radici, e di fronte alla crisi in arrivo, pensiamo sia importante riconoscerci, partire dall’organizzazione della solidarietà tra di noi in reti autogestite, convinte/i che sia la via per garantirci a tutte/i tutela e supporto.
La solidarietà rappresenta per noi la base per la costruzione di un mondo altro, basato sul supporto reciproco e sulla cura tra le persone.
In questo cammino non vogliamo sottostare ad equilibrismi politici e di potere, ma vogliamo invece procedere passo dopo passo con obbiettivi chiari e semplici, mossi dal senso di giustizia e dall’autogestione. Per questo pensiamo per esempio che: nessuna/o deve dormire all’addiaccio con il freddo e rischiare la morte, che chi non può permettersi un affitto non deve essere sfrattata/o, che chi non può permettersi la spesa non deve avere fame. Non vediamo la nostra attività come la fornitura di servizi para-statali, ma come un vivere ed un agire politico che tende a costruire concretamente relazioni diverse.
Significa praticare il mutuo soccorso nell’ottica che anche chi ne beneficerà potrà contribuire in prima persona a prendersi cura della comunità in altre forme.