Se è vero che parlare di sexwork significa parlare di lavoro e quindi di diritti e tutele, è ancora più vero che parlare di pandemia e di emergenza ha significato toccare i nervi scoperti di un intero sistema economico e sociale e quindi di tutti i suoi dispositivi normativi e controllanti che passano anche, necessariamente, quindi dal controllo della sessualità e del rapporto tra i generi.
Portare la questione del lavoro sessuale al centro della lotta transfemminista significa tutto questo ed è per noi fondamentale farlo insieme a chi vive direttamente sulla propria pelle lo stigma e lo sfruttamento come lavoratrice o lavoratore del sesso ed insieme a tutte le realtà associative e di movimento che lottano per il riconoscimento del lavoro sessuale. Noi come NonunadimenoTrieste stiamo dalla parte delle sexworkers!
Quella che riportiamo di seguito è la trascrizione parziale di un dibattito trasmesso online dalla pagina facebook di NonunadimenoTrieste il 2 maggio 2020 in cui abbiamo voluto dare spazio alla campagna di crowdfunding a sostegno delle sexworkers “ Covid19-nessuna da sola-Sostieni le sexworkers”. Qui trovate il link al video della diretta facebook.
Sono intervenute:
- Pia Covre, presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute, membro del direttivo dell’associazione “ Certi diritti”
- Collettivo ombre rosse
- Hermine Letonde Gbedo, coordinatrice e mediatrice culturale per il progetto antitratta diTrieste attuato dal CdCp nell’ambito del progetto regionale “Il FVG in rete contro la Tratta”.
- Andrea Morniroli, fondatore e socio della Cooperativa Dedalus, portavoce della piattaforma nazionale antitratta.
Non una di meno Trieste:
Oggi è 2 maggio, dopo un primo maggio insolito per tante e tanti, ci siamo dette che avremmo voluto a continuare a parlare di lavoro e che in un momento in cui è difficile incontrarci di persona, l’incontro virtuale – per quanto non sopperisca del tutto alla distanza fisica – può essere un modo utile per provare a instaurare reti e discussioni e per esprimere la nostra solidarietà a una campagna a sostegno delle sex workers, che sono una categoria sempre dimenticata, in questo momento ancora di più.
Cominciamo dal fatto che il lavoro sessuale è in Italia è illegalizzato, cosa che fa sì che le lavoratrici non abbiano diritto a nessuna forma di ammortizzazione e di tutela. In una situazione come quella del lockdown, molte di queste si sono trovate ad affrontare situazioni di grandi difficoltà economiche se non di totale indigenza. Inoltre, l’illegalizzazione lascia ampio margine al mercato della tratta.
Pia Covre, Comitato per i diritti delle prostitute, associazione Certi Diritti:
In questa grande emergenza, si è creata una rete vera di attivisti e alleati che supportano nella pratica quotidiana chi è coinvolto nel lavoro sessuale, senza la quale non avremmo potuto fare nulla. Essendo un mercato illegale e sommerso, senza regolamentazioni e welfare, è un mercato in cui le lavoratrici si trovano ora in una totale povertà. Quando parliamo di sex work parliamo sia delle persone per strada, che potrebbero essere indipendenti o sfruttate in un mercato criminale, sia di quelle che la gente chiama escort, ma che sono sex worker che lavorano al chiuso, sul web o nei club, sia delle performer. È un lavoro che richiede contatto fisico: in un momento di pandemia questo pone seri problemi. Dovrebbe tramutarsi in un lavoro a distanza, cosa che già sta succedendo.
A parte le poche persone che possono entrare in programmi di sostegno antitratta, le altre sono senza sostegno. Pensate ad esempio a tutti i problemi nell’immediato – pagare l’affitto, le spese – che diventa più difficile per tutte queste persone che non hanno sostegno familiare, perché fanno un lavoro stigmatizzato.
La nostra idea del crowdfunding ha voluto essere un modo per dare supporto a chi non ha da mangiare, ma è soprattutto un gesto di vicinanza e solidarietà perché queste persone non si sentano sole.
Noi normalmente abbiamo contatti soprattutto con le persone che vivono in strada, con le proletarie del lavoro sessuale. Tuttavia, con il crowdfunding siamo entrate in contatto anche con una parte delle escort che lavorano in casa.
Non una di meno Trieste:
Ti ringrazio Pia, mi piacerebbe in seguito tornare su alcune questioni, come per esempio la possibilità o meno per alcune lavoratrici del sesso in questo momento di crisi di accedere alla possibilità di lavorare da remoto. Come ci hai detto, appunto, il lavoro sessuale se non completamente illegalizzato è, in buona parte, sommerso; tuttavia il decreto “ Cura Italia” non cita minimamente la categoria del sexwork, per cui forse solo una parte delle lavoratrici dotate di partita Iva riuscirà in questo momento ad ottenere qualcosa in termini di tutele economiche.
Ora vorrei invece passare la parola al collettivo Ombre Rosse e vorrei cominciare col chiedervi anche di raccontarci come nasce il vostro collettivo e perché per esempio fare la scelta di riconoscersi in una identità collettiva, scegliendo anche oggi di non mostrarvi completamente in volto. Per cui vi chiedo, al di là della fase emergenziale attuale, come mai è così difficile accettare l’idea che il lavoro sessuale sia lavoro?
Ombretta, Collettivo Ombre Rosse:
Sono Ombretta, una delle ombre, una delle lavoratrici, ex lavoratrici e alleate. Lottiamo contro lo sfruttamento del lavoro, in ogni ambito lavorativo e contro la violenza sulle donne. Ombretta è un nome che utilizziamo per tutelarci.
Siamo delle ombre perché viviamo la stigmatizzazione e marginalizzazione delle nostre vite, ma abbiamo anche un grande ombrello, perché il sexwork racchiude varie forme di discriminazione che esplodono nel lavoro sessuale. Il lavoro sessuale molto spesso non è l’unica fonte di reddito: o ci si ritorna perché un’altra fonte di reddito non è sufficiente. Per questo non ci esponiamo con il viso, per tutelare la nostra persona negli altri lavori che svolgiamo, perché lo stigma distrugge la vita delle persone, gli affetti, la possibilità di cambiare vita.
L’invisibilizzazione porta molte sexworkers che si ritrovano senza reddito a essere ancora più isolate. Il crowdfunding è stato un momento fondamentale per creare rete con altre organizzazioni. Abbiamo costruito questa campagna e abbiamo avuto al momento più di 16mila euro e tantissime donatrici e donatori, che ci fanno pensare che esiste una rete di solidarietà che ci vuole supportare. Tuttavia, non è sufficiente, perché l’emergenza non finisce qui. Il problema dell’affitto e delle utenze continuerà, anche quando alcune per necessità torneranno a lavorare.
Collettivo Ombre rosse:
Non una di meno ha capito subito che la pandemia avrebbe esacerbato le contraddizioni nella società: il lavoro di cura domestico, la scuola, il sexwork. Questa condizione emergenziale delle sexworkers non finirà con il lockdown: la pandemia è entrata nel profondo delle nostre quotidianità e questo problema si prolungherà. Le lavoratrici sessuali si trovano di fronte all’orribile scelta tra la propria salute e il reddito. È una forma di ricatto strutturale. Per questo sono fondamentali non solo il crowfunding ma tutte le rivendicazioni che facciamo verso la decriminalizzazione.
Non una di meno Trieste
La questione tratta è solo un aspetto del mercato del sesso. Volevo chiedere a Hermine di raccontarci la situazione nella nostra regione, per capire come funziona il mercato in questo momento e come è cambiato il lavoro di lavoratori e lavoratrici, in un momento in cui i contatti sono limitati?
Hermine, Comitato per i diritti civili delle prostitute, Progetto Antitratta Fvg:
Rappresento il progetto anti-tratta di Trieste che rientra nel progetto regionale anti-tratta. L’obiettivo è accogliere e ospitare persone vulnerabili rese vittime della tratta. Il Comitato ha cominciato il progetto nel 2000, e man mano è diventato un progetto regionale. L’approccio di base è che le donne, le persone trans, gli uomini vittime di tratta sono sì persone vulnerabili ma anche persone coraggiose; sono persone sfruttate, private delle loro libertà, che però possono riappropriarsi della propria vita, anche eventualmente del lavoro sessuale, uscendo da una condizione di sfruttamento e schiavitù. La pandemia ha stravolto la vita di tutte, a maggior ragione delle persone vulnerabili e migranti. Le persone nel programma sono in contatto con noi e viene garantita loro assistenza (pocket money, colloqui). Abbiamo chiesto l’estensione del programma, una proroga di almeno sei mesi, rispetto alla scadenza del 31 maggio, anche per far sì che le persone possano portare a termine quello che hanno iniziato, e che è stato interrotto: formazione linguistica, formazione lavorativa, conoscenza del territorio. […] Vorrei anche ribadire l’importanza di dare continuità ai programmi di inclusione sociale e che è fondamentale la regolarizzazione delle persone migranti, questo permetterebbe anche a chi è in condizione di schiavitù di uscirne.
Non una di meno Trieste:
Passo la parola ad Andrea Morniroli, socio e amministratore della Cooperativa Dedalus, che lavora a Napoli, e portavoce della piattaforma nazionale antitratta. Ti volevo chiedere un punto di vista sia sulla situazione a Napoli, territorio dove si intrecciano varie questioni, tra le quali quella del rapporto con la criminalità organizzata, sia una panoramica più generale sulla condizione particolare di alcune lavoratrici del sesso che vivono la vulnerabilità di essere al contempo irregolarizzate in quanto “non italiane” associarsi alla criminalizzazione del lavoro sessuale: magari su questo puoi dirci anche qualcosa di più sulle differenze tra Nord e Sud Italia.
Andrea Morniroli, fondatore Cooperativa Dedalus:
Un progetto come il nostro ha deciso di partecipare alla campagna di crowdfunding perché ci siamo resi conto che moltissime lavoratrici e lavoratore – a prescindere dall’autonomia – sono in condizioni di grandissima povertà: non solo per ragioni economiche, ma anche per il mancato riconoscimento e lo stigma. Ancora oggi leggo comunicati dei movimenti “femministi” proibizionisti, secondo cui il sostegno va solo a quelle che sono consapevoli dello sfruttamento: io questa cosa non riesco a sopportarla! Questo dimostra che oltre alla povertà estrema c’è il moralismo. Nella Fase 2, ci sono molti sindaci e amministratori che, con la scusa della tutela della salute, tornano all’attacco con ordinanze contro la prostituzione in alcune strade, il che scatena anche depressioni.
La situazione a Napoli non è molto diversa; ma in una città in cui il 30% del PIL è legato al nero, è evidente che tutto diventa più denso. Le donne nigeriane, 40% delle vittime di tratta, sono i soggetti più fragili: quelle che si sono emancipate dal debito non hanno nulla da mangiare; quelle che sono ancora sotto ricatto hanno da mangiare ma a caro prezzo, ottengono prestiti da usurai che vanno ad aumentare il loro debito da restituire all’organizzazione per emanciparsi. Per le donne dell’Est, la situazione è un po’ diversa, alle volte sono costrette ad andare in strada dai loro sfruttatori. Le donne transessuali di Napoli hanno fatto un bellissimo video in cui suggerivano alle loro compagne di stare in casa. C’è un gruppo di persone magrebine, molto emancipate, che con il loro lavoro mantengono le famiglie, qui o al Paese. La situazione è diversificata e impatta tutte, ma in maniera diversa.
Noi abbiamo mantenuto l’attività di prossimità, andando in strada con l’unità di crisi: se prima davamo volantini e profilattici, ora diamo cibo, anche porta a porta. Accompagniamo in alcuni casi interventi sanitari, perché a un certo punto gli ospedali rifiutavano le persone non Covid-19.