CI VOGLIAMO LIBERE DI SCEGLIERE SE E COME PARTORIRE!
Oggi, chi deve partorire al IRCCS Burlo Garofolo di Trieste deve entrare da sola in sala-parto: la persona dalla quale vuole essere accompagnata può entrare solo negli ultimi momenti del travaglio e può stare un po’ di tempo (qualche ora) dopo la nascita e solo se nella sala parto non ci sono altre partorienti. In caso contrario, l’accesso è consentito esclusivamente al momento del parto. L’accesso al reparto di degenza ostetrica invece non è consentito in ogni caso. Queste sono le informazioni riportate dalla pagina web dell’ospedale. Alcune donne che stanno per partorire raccontano di avere paura di stare sole durante il parto; altre donne, che hanno già partorito, raccontano che si sono sentite protette e ascoltate dal personale ospedaliero. Al Burlo continuano anche le ecografie e le visite fondamentali per le donne incinte.
Una compagna ci racconta che i consultori continuano a garantire assistenza alle donne incinte: i corsi pre-parto del consultorio di Roiano, per esempio, si sono spostati sulla piattaforma digitale Zoom.
Nelle ultime settimane, il Primorski Dnevnik ha pubblicato alcuni articoli sulla gravidanza durante il Coronavirus, intervistando alcune neomamme:
“Quando ho saputo che avrei dovuto rinunciare alla presenza di mio marito durante le contrazioni pre-parto, mi è venuta subito in mente una soluzione creativa. Ho piazzato in macchina un grande pallone da pilates e abbiamo progettato che avremmo aspettato il momento del parto insieme fino all’ultimo nel posteggio dell’ospedale” ha raccontato al Primorski una neomamma di Opicina.
Il primo articolo pubblicato dal Primorski raccontava anche l’esperienza di alcune donne che hanno scelto il parto in casa, con il supporto delle ostetriche della Casa di Caterina, “casa delle nascite” di Dolina. L’articolo si concludeva così: “Durante il parto la donna è molto vulnerabile, ma allo stesso momento deve essere molto forte, per questo è necessario che riceva tutto il sostegno possibile. Tutte le interlocutrici hanno sottolineato che durante il parto la cosa più importante è la sensazione di sicurezza e tranquillità. Oggi la donna può scegliere di partorire come preferisce per iniziare a scrivere un nuovo capitolo di vita con ricordi piacevoli sul suo inizio.”
A quell’articolo ha fatto seguito una presa di posizione del primario del reparto di neonatologia dell’Ospedale Burlo Garofolo Francesco M. Russo e della neonatologa Meta Starc. La loro risposta, inviata al Primorski, aveva lo scopo di invitare le donne a partorire in grandi ospedali, come il Burlo, in quanto “Dati statistici dimostrano che il numero delle complicanze durante il parto è inversamente proporzionale al numero dei parti effettuati in una struttura: più alto è il numero delle nascite, più basso è quello delle complicanze”. Tuttavia, nel sostenere la loro posizione, Russo e Starc mettono in moto meccanismi di colpevolizzazione delle donne che scelgono di partorire in casa, evocando epiloghi tragici (“A volte è troppo tardi e si può arrivare fino alla morte del nascituro o fino a gravi e a volte irreversibili danni neurologici”). Russo e Starc condannano le donne che scelgono di partorire in casa, senza il supporto di dati statistici sulla correlazione tra le nascite in casa (sulle quali, dicono, mancano i dati) e il numero di complicanze nei parti. Inoltre, dicono che, proprio per questioni di sicurezza della madre e del/la bambina/o, “negli ultimi anni in Friuli Venezia Giulia sono stati chiusi reparti di ostetricia con numero di nascite inferiore alle 500 all’anno”.
Per noi, ognuna deve avere la libertà di scegliere dove e come partorire, in totale sicurezza.In special modo durante un’emergenza epidemiologica come quella che stiamo vivendo, in cui le strutture ospedaliere sono sovraffollate, ed è necessario far rispettare alle e ai pazienti le misure di sicurezza, il parto in casa potrebbe rivelarsi, per chi lo desidera, un’alternativa al parto ospedaliero.
In un Paese dove la violenza ostetrica viene vissuta da moltissime partorienti, e in un momento in cui chi sta per partorire si vede costretta a vivere il travaglio senza la vicinanza di una persona fidata, in grado di comunicare, se necessario, le sue esigenze al personale sanitario e medico, pensiamo che tutte le scelte vadano rispettate, soprattutto dalle mediche, dalle ostetriche e dalle ginecologhe. Pensiamo che la chiusura dei reparti di ostetricia nelle zone meno abitate mette in pericolo donne e bambin*, che si vedono costrett* a spostarsi decine di chilometri per trovare un posto dove partorire quando scelgono di farlo in ospedale, o in caso di complicanze se decidessero di farlo a casa. Come sottolinea Matejka Gruden Babica, ostetrica privata, membro del Collegio professionale interprovinciale delle ostetriche delle province di Trieste e Gorizia, intervistata dal Primorski in risposta ai due medici del Burlo, “Le mamme che scelgono di partorire in casa non sono delle ingenue e non sottovalutano il valore della vita. Questo posso assicurarvelo, in tutti questi anni in cui esercito la mia professione ho assistito alla nascita in casa di oltre un centinaio di bambini.” Inoltre nello stesso articolo rimarca la professionalità delle ostetriche che seguono i parti in casa: “Entrando nel percorso professionale come ostetriche ci siamo prese l’impegno e la promessa di salvaguardare la salute delle madri e dei bambini. Per questo motivo per i parti in casa sono state stabilite delle norme rigorose, a cui tutte le ostetriche devono assolutamente attenersi. Le norme stabiliscono ad esempio, quali gestazioni sono consone per il parto in casa e quali no.”
Alcune regioni coprono le spese dell’assistenza ostetrica in casa, ma altre no. Ad esempio in Friuli Venezia Giulia partorire in casa può risultare per alcune donne proibitivo dal punto di vista finanziario.
Vogliamo punti nascita e ospedali pubblici dove partorire, in sicurezza e libertà, su tutto il territorio. Vogliamo la libertà di scegliere dove partorire, e che la scelta di partorire a casa non sia un privilegio che solo alcune possono concedersi. Vogliamo poter vivere l’esperienza della gravidanza in modo sereno, in un ambiente accogliente anche in ospedale, seguite con calma da un numero sufficiente di personale medico e sanitario, e libere di scegliere i nostri tempi e i nostri modi. Vogliamo che la gravidanza venga affrontata come un percorso, non come una malattia, in cui noi e il nostro corpo in trasformazione siamo protagoniste, non pazienti da curare. Vogliamo che tutte possano avere sempre gli strumenti e le informazioni per essere consapevoli di ciò che succede durante la gravidanza e il parto, non abbiamo bisogno di ricette e ramanzine, ma di ascolto, sicurezza, serenità, sostegno e fiducia. Non possiamo accettare atteggiamenti giudicanti e sbrigativi da chi dovrebbe avere il ruolo di accompagnarci. Non possiamo permetterci di sentirci inadeguate o colpevolizzate durante la gravidanza, perché quel senso di inadeguatezza non svanirà con il parto, né verso la nuova vita che ci troveremo tra le braccia, né verso il nostro corpo.
INSIEME SIAM PARTITE, INSIEME TORNEREMO
NON UNA DI MENO!
Immagine tratta da Mamá desobediente di Esther Vivas.